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L'articolo

4E Pepe Teresa  
Nonna Teresa
Sguardo mesto, sul viso un sorriso amaro. Mia nonna ricorda ancora con tristezza ciò che le è accaduto. Si chiama Teresa Pepe, proprio come me. È nata il 30 giugno 1920 da una famiglia di umili contadini di Nocera Inferiore. La sua vita scorreva normale, era bella, aveva lunghi capelli raccolti in due trecce, la mattina si svegliava presto ed andava ad aiutare sua madre nei campi. Non era andata a scuola, non sapeva né leggere né scrivere. Aveva 20 anni quando cominciò a sentire quegli strani discorsi. Sulla bocca di tutti la stessa parola: LA GUERRA! Non riusciva a capire, avevano sempre vissuto bene loro, avevano sempre avuto qualcosa da mettere a tavola, ma era da un po’ che vedeva la disperazione e l’angoscia negli occhi di tutti. La farina mancava, da mangiare c’era poco o niente e lei sentiva che doveva darsi da fare per aiutare i genitori a portare avanti quel pezzo di terra, quello che poteva garantire loro qualcosa da mangiare. Il 26 luglio 1943 il Maresciallo Badoglio chiese l’armistizio a Bari per sciogliere l’alleanza dai Tedeschi e ritirare l’Italia dalla guerra. Mia nonna non sapeva cosa significava ma sentiva il rumore degli aerei e le raccontavano che gli Inglesi e gli Americani erano sbarcati nel salernitano per cacciare via i Tedeschi dall’Italia. Sentiva le bombe, i fucili, gli attacchi aerei ed il cuore le batteva forte. Mi ha detto che ricorda, come se fosse ora, quella mattina:”era il 18 settembre del ’43, le 11 di mattina, stavo aiutando mio fratello Carmine con la raccolta. Sentii un grande frastuono ma né io né lui riuscimmo a capire. La campagna era lontana dalla città e da lì non si riusciva a sentire l’allarme della sirena. All’improvviso un forte dolore, caddi a terra frastornata”. Dalla sua gamba destra vide uscire tanto sangue e tutt’intorno le persone cadevano al suolo inerti. “Anche Carmine era ferito, alla spalla ed alla gamba ma si fece forza e corse da me. Mi legò la gamba con un filo di spago stretto e corse per cercare aiuto”. E poi la corsa in ospedale, Carmine caricò Teresa su di un carretto guidato da un cavallo. Glielo prestarono i vicini – corri Carmine, devi salvare Teresa! -. E Carmine corse, noncurante delle bombe che gli sfioravano la testa. ”L’ospedale Umberto I era un’ospedale militare e così fu ricoverata accanto a tutti gli altri feriti, i soldati disperati e le madri in lacrime”. Ma la sentenza fu grave: “La gamba deve essere amputata”. Le lacrime della madre, la disperazione di Carmine, che non riusciva ad accettare il triste destino di Teresa. Si recava in chiesa ogni mattina, pregava alla Madonna….”Una soluzione ci deve essere!”. Dio ascoltò Carmine e mandò un suo eletto ad aiutarla. “Carmine ci disse che aveva conosciuto il parroco di quella chiesa e dopo avergli raccontato la mia storia, questi gli suggerì di recarsi in una clinica privata di Petraccetta, retta da un direttore di Napoli suo amico”. “Teresa può essere aiutata ma occorre un operazione delicata in cui le asporteremo del tutto il ginocchio” era il referto medico. Ci volevano tanti soldi per l’operazione, 12000 lire di allora (circa 10 milioni di oggi), più le spese del ricovero, ma la famiglia di Teresa, pur di aiutarla si indebitò fino al collo. Un mese in clinica, poi le visite quotidiane del medico che si recava a casa per medicarle il ginocchio. Un anno ferma nel letto, senza potersi muovere. Teresa si sentiva inutile, un peso morto in quel letto, senza poter fare nulla per aiutare la sua famiglia in difficoltà, nel pieno della sua giovinezza. Poi un giorno provò a mettere i piedi a terra. Entusiasmo misto alla paura, non le pareva vero. Ma qui la disperazione si fece più acuta. Teresa si accorse di non saper più camminare, di essere ritornata una neonata che stentava a muovere i primi passi, ma con una differenza: grazie a quell’intervento ora aveva sì due gambe ma poteva comunque usarne solo una. E così mentre la madre ed i fratelli ogni mattina si recavano in campagna, Teresa di nascosto con l’entusiasmo della trasgressione metteva i piedi a terra e piano piano si sforzava di imparare di nuovo a camminare. Un giorno un suo vicino di cortile, Mario, si trovò a salire nella sua casa e rimase colpito: scoprì Teresa aggrapparsi ai mobili e muovere lentamente le sue gambe. Da quel pomeriggio Mario si ripromise di andarla a trovare tutti i giorni, di assisterla nei suoi esercizi, e se lei avesse rischiato di cadere Mario sarebbe stato pronto ad afferrarla tra le sue braccia. “Quando il sole si faceva caldo, i miei ancora un po’ nei campi, Mario invece tornava un po’ prima e di nascosto veniva ad aiutarmi. Io lo aspettavo con ansia e non appena arrivava cominciavo ad esercitarmi. Dopo qualche anno ricominciai a camminare”. Avevano entrambi 30 anni quando Mario e Teresa si sposarono. Quando salì su quell’altare Teresa non camminava come una fotomodella, ma si aggrappava al braccio forte di Mario, come una bambina, e lo guardava con gli occhi innamorati e pieni di gratitudine. Anche ora, sebbene siano passati più di 50 anni, Teresa non va da nessuna parte senza aggrapparsi a quel braccio e mio nonno è lì, sempre pronto a sorreggerla. La storia di mia nonna Teresa è una storia commovente ma è anche la testimonianza di quanto siano disastrose e crudeli le guerre. La sete di soldi e potere di quegli uomini, mia nonna l’ha pagata con la sua stessa pelle ed è solo merito loro se ora Teresa porta con sé le prove di quello scempio. Ho voluto raccontare questa storia perché voglio dimostrare che con un semplice ordigno, neanche tanto costoso, si può segnare per sempre la vita di una persona.
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