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L'articolo

Noi, bambini figli di un dio minore  

5 giugno 2001

Noi, bambini figli di un dio minore
e adesso ridotti come pacchi postali

I centri non ce la fanno a sostenere l'accoglienza. La legge non aiuta. Anzi, il problema sta lentamente scoppiando

GIULIO DI LUZIO

Invisibili, ridotti a pacchi postali scomodi e ingombranti, stipati qua e là. Soprattutto, oggetto di un argomento difficile da sbandierare, come sovente capita in tema di immigrazione. Di chi parliamo? Di un fenomeno dimenticato ed ora ingovernabile. Di migliaia di minori in carne ed ossa, giovani immigrati non accompagnati presenti in Puglia, istituzionalizzati e non (c'è un sommerso che non dovrebbe stare sotto le 2.000 unità), quegli under 18 difficili da censire e monitorare per le stesse istituzioni regionali e per i comuni.
Sono soprattutto maschi, le ragazze intorno al 5%, intercettati dalla Polfer nelle stazioni o dalla Polizia o sottratti alle famiglie ed affidati dal Tribunale dei minori ai servizi sociali comunali. L'unico dato certo è che la Regione Puglia spende qualcosa come 200 miliardi annui per mantenere i circa 4.500 minori nei vari istituti, comunità, cooperative, orfanotrofi, enti religiosi, pubblici e privati che fanno il bello e il cattivo tempo in un panorama che presenta molte ombre. Solo lo scorso ottobre è stata chiusa la coop. "Vivere Insieme" di Palese per una serie di gravi irregolarità. Quelli rintracciati in città sono condotti a Lecce o nella provincia di Bari, ove troviamo, tra gli altri, l'Istituto Antoniano di Altamura, i Santi Medici di Bitonto, l'Esedra di Triggiano, le Suore Santa Maria di Costantinopoli ad Acquaviva, l'Istituto Marsiglio di Gravina, il Vittorio Emanuele a Giovinazzo, le cooperative Arcadia e Don Milani a Molfetta. Bari infatti non dispone di un centro di pronta accoglienza per minori e versa mediamente dalle 80 alle 100mila lire al giorno per ogni minore a suo carico, attualmente un centinaio. Chissà se i tre miliardi in più presenti quest'anno nelle casse dei servizi sociali comunali, di cui con orgoglio mena vanto l'assessore Melchiorre, potranno dotare la Bari europea di un luogo di riparo per i minori immigrati.
"La cosa assurda è che non esiste una legislazione specifica per i minori non accompagnati – dicono nell'ufficio immigrazione della Regione Pugliaa differenza dei sostegni esistenti per gli adulti". Dunque, nessuna copertura finanziaria a disposizione a fronte di una legge inadeguata secondo la quale il minore diventa un costo per le casse di quel comune nel cui territorio viene intercettato. E allora, dagli con lo scaricabarile: non è insolito infatti vedere furgoni che scaricano frotte di minori albanesi, marocchini o tunisini in un comune diverso da quello in cui sono approdati, perché siano identificati lì. E loro, le amministrazioni locali?
Sono semplicemente al collasso finanziario, non ce la fanno più a sostenere le rette di mantenimento che versano agli istituti, fino a 150.000 lire giornaliere a testa. Ma chi dovrebbe occuparsene? Argomento imbarazzante, se solo si pensa che gli uffici per l'immigrazione di piazza Moro hanno inviato a tutti i comuni pugliesi una scheda per censire la popolazione immigrata minorile (molti comuni non hanno ancora risposto, Bari compresa), ma l'iniziativa si deve più allo zelo dei suoi funzionari che a doveri d'ufficio, visto che i colleghi di viale Magna Grecia, quelli dei Servizi Sociali, responsabili nel settore, non sembrano animati dallo stesso spirito.
Insomma, difficoltà di coordinamento tra i due uffici, e tra questi e i servizi sociali comunali aggravano la nuova emergenza pugliese in tema di immigrazione. La conseguenza? I dati esistenti fanno fatica a rappresentare la portata del fenomeno, crescente e sottostimato da tutti, ma anche la fisionomia di un segmento di mercato, quel business della "accoglienza", in cui anche improvvisati operatori hanno sentito odore di moneta sonante. Per avere un'idea dello stato dei dissesti (ormai molti comuni non pagano più le rette) basti citare gli esempi di Monopoli e Cerignola.
Il comune barese ha speso negli ultimi quindici mesi circa un miliardo e mezzo per gli oltre cento minori, soprattutto albanesi, a suo carico e gli ultimi arrivati, 30 rom kosovari, spediti dalla questura di Bologna (a proposito di solidarietà del nord), sono accampati nei locali delle Acli, tra donne incinte e quattordici minori sotto i 12 anni. Trovatosi in mezzo al guado, l'assessore competente ha bussato per giorni alle porte della politica romana, fino a strappare qualche promessa dal ministro Livia Turco. Manca qualsiasi programmazione, il Ministero dell'Interno non ha istituito fondi per questa emergenza, nessun investimento per i minori d'oltre Adriatico, quelli regionali sono stati attinti dal Fondo Minori riservato agli italiani. Mano mano che scaviamo emerge una realtà del "faidate" a dir solo preoccupante.
Dice Maria Antonietta Liddi dell'ufficio immigrazione: "I fondi D'Alema hanno finanziato finanche le fogne di Martano, nel leccese, o tratti delle spiagge salentine, mentre la Prefettura fa gioco di squadra e cerca di nascondere la gravità del fenomeno. E' una politica cieca e ottusa". Ognuno si regola come può nell'empasse generale. Ipotecando le proprie abitazioni, per esempio, come fanno sapere gli operatori della cooperativa S. Giuseppe di Borgo Tre Santi, vicino Cerignola, per consentire alle banche di versare i soldi necessari all'accoglienza dei minori presenti (il comune di Foggia aveva già speso circa due miliardi). E, sia chiaro, situazioni del genere sono più frequenti di quanto si creda. Insomma, l'emergenza si aggrava giorno dopo giorno ed è precipitata nell'indifferenza generale, tra ritardi istituzionali, vuoti legislativi e un business miliardario che oggi paga la sua parte.
Secondo Gigi Perrone (come riferiamo nell'intervista a parte) direttore scientifico dell'Osservatorio per l'immigrazione di Lecce, docente di Sociologia dei Flussi Migratori all'università del capoluogo salentino e autore di alcuni libri, il vero problema è quello delle competenze e della contraddizione della legislazione esistente. "Sìaffermail personale di questi centri è assegnato con criteri clientelari dai politici di entrambi gli schieramenti. Non basta la laurea in psicologia o pedagogia per entrare in relazione con bambini che vengono da un'altra parte del mondo, non basta una competenza pedagogica normale. Guardiamo le competenze di questi operatori, guardiamo i loro curricula e non ci troveremo alcuna particolare professionalità, se non che appartengono a questo o a quel politico". Ma ci sono verifiche di queste competenze, e chi dovrebbe effettuarle? "Non esiste nessuna verificadice ancorai minori sono assegnati ai vari centri come "partite di baccalà" ma ad essi non è assicurata alcuna prospettiva".
E così quello che dovrebbe essere un problema minore, nel contesto così variegato e differenziato dell'immigrazione, diventa il problema dei problemi. Perché non è stato risolto. Perché difficilmente lo sarà. E perché in molti tacciono ancora.

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