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Gli interventi del Presidente sul quotidiano "Il Mattino" 


LUIGI CELESTRE ANGRISANI

L'articolo

26/10/01 Centri di riabilitazione, c’è il rischio   

L’INTERVENTO. DALLA CRONACA ALLE BATTAGLIE SOCIALI
Centri di riabilitazione, c’è il rischio di chiusura
La storia di Matteo Nadalini: quando l’handicap è l’abbandono delle istituzioni

LUIGI CELESTRE ANGRISANI
Ci sono fatti di cronaca che fanno male. Più degli altri. Come quello di Paola Mantovani, 39 anni, e di suo figlio, Matteo Nadalini, 14 anni. Era la metà di settembre. Nella villetta dei coniugi Nadalini, a Modena, avviene una strana rapina con omicidio. Il padre è fuori. Quando torna trova la moglie legata nella piscina e il figlio morto, soffocato. Matteo ha un forte handicap mentale (è autistico). La madre dichiara di essere stata aggredita da due banditi con accento straniero (albanesi, si dice): l’hanno legata e gettata nella piscina e hanno ucciso il ragazzo fuggendo con una refurtiva che sarà trovata abbandonata nel giardino. Sembra una delle solite drammatiche storie di balordi spietati provenienti dall’est. Scatta lo scandalo, la rabbia, la richiesta di misure speciali per la sicurezza dei cittadini.
La verità
Ma dopo un mese e cinque giorni la verità che viene a galla è di quelle che non fanno prendere sonno: Matteo è stato ucciso dalla mamma. Le indagini fanno emergere una situazione drammatica. «I genitori - dichiarano i carabinieri - non accettavano un figlio autistico». I vicini testimoniano: «la mamma picchiava il figlio e il figlio la madre, si sentivano le urla». Matteo non era un bambino, pesava 74 chili e, viene raccontato, durante le sue crisi diventava una furia. Era stato anche ricoverato in ospedale con l’elicottero per eccesso di farmaci, probabilmente somministratigli per calmarlo. La verità completa sull’omicidio deve essere ancora accertata e chi vorrà potrà seguirne gli sviluppi sulle pagine di cronaca. Io invece vorrei portare l’episodio di Modena fuori dalla cronaca. Commentandolo una psicoanalista ha detto: «spesso la presenza di un figlio con handicap mentale serio blocca il tempo e immobilizza le persone impedendo qualsiasi crescita vitale della famiglia. Allora nasce la disperazione». Che a Modena è diventata tragedia. Nonostante una famiglia agiata, una bella villetta con tanto di piscina, uno dei comuni più attrezzati sul fronte dei servizi sociali.
Anche in quelle condizioni non è possibile, non è umano, non è civile lasciare che un disabile grave pesi solo sulle spalle della famiglia.
Un ragazzo autistico ha bisogno di cure specialistiche, di essere al centro di un processo educativo comportamentale che lo aiuti ogni giorno sulla base degli studi medico - scientifici più avanzati. Perché l’handicap non è mai una condizione stabile, può progredire o regredire. Per affrontarlo, per permettere a chi ne soffre di progredire o di non regredire, esistono centri specializzati, si chiamano centri di riabilitazione. Bene (anzi male); c’è il rischio che nella nostra regione i centri di riabilitazione vengano chiusi. Che invece di renderli sempre più avanzati, vengano trasformati in semplici centri di residenza.
I problemi
E c’è il rischio che centinaia di disabili curati fino a ieri in centri di riabilitazione dove si sono ambientati e magari hanno ottenuto eccellenti risultati, vengano «deportati» altrove, per problemi burocratici.
Queste cose non le dico io: le dicono decine di consiglieri e capigruppo regionali. Perché ci sono questi rischi? Perché a volte la burocrazia è molto distante dalla vita reale.
Nascono così delibere della Regione che sembrano innocue e invece aprono strade inquietanti dove a pagare saranno, manco a dirlo, i più deboli. Magari dei disabili che vengono considerati «stabilizzati», ovvero per i quali non varrebbe più la pena continuare la riabilitazione. Matteo, per capirci meglio, era uno «stabilizzato».

 

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