LA
BUONA SANITÀ Malati terminali: una svolta
La Regione
autorizza quattro strutture per accogliere chi non ha speranze
LUIGI CELESTRE ANGRISANI
Era stato duro, pochi mesi fa, l’allora ministro della Sanità Umberto Veronesi.
«Il malato terminale - aveva detto - è considerato un ingombro: tenerlo in casa
comporta difficoltà enormi, mentre l’ospedale lo considera una presenza scomoda
perché vuol tener basse le cifre della mortalità». Parole amare, che
suscitarono polemiche e contestazioni. Parole vere. Dietro le quali c’era la
realtà di tutti quei malati terminali per i quali la Carta dei diritti del
morente, diffusa in cinquanta paesi, era solo un’astrazione. «Il morente - si
legge in quella carta - ha diritto di essere considerato persona sino alla
morte, ha diritto a cure ed assistenze continue, ha diritto a non morire
nell’isolamento e nella solitudine, ha diritto a morire in pace e dignità».
Diritti negati. Non a persone qualsiasi, ma a persone che stanno per vivere gli
ultimi mesi della loro vita. A volte senza famiglia, altre volte con famiglie
che non sanno come affrontare situazioni di dolore terribile, di angoscia, di
inadeguatezza. Perché non ci sono i luoghi dove questi diritti basilari possano
tradursi in realtà. Si chiamano hospice. La legge italiana li prevede dal 1999.
Negli Stati Uniti esistono dal 1974. Non sono luoghi della morte, sono al
contrario luoghi dove la vita afferma il suo diritto di essere tale fino alla
fine. Perché una persona che non ha speranza di guarire è comunque, o forse più
di altre, una persona che ha diritto al massimo della serenità possibile. In
Campania non esiste nessun hospice. Lo abbiamo detto e denunciato su questo
giornale. Oggi possiamo dire, finalmente, che le cose stanno cambiando. La
Regione Campania, in applicazione alla legge del 1999, ha approvato nei giorni
scorsi una delibera che prevede per la prima volta la creazione di quattro
strutture di questo tipo per un totale di quarantadue posti letto. E che sono,
direte voi, quarantadue posti letto rispetto a tutti i malati terminali che
nella nostra regione soffrono tra famiglie che non ce la fanno e ospedali che
li rifiutano? Sono molto, sono il segnale di una svolta culturale, di
mentalità, di attenzione. Per questo facciamo volentieri i complimenti
all’assessore alla Sanità, Teresa Armato. Perché da queste colonne siamo sempre
stati pronti a riconoscere e apprezzare quanto di positivo si riesce a fare. Lo
facciamo però con qualche legittima preoccupazione. La prima è quella sui
tempi. Per realizzare i quattro hospice - due a Salerno, uno ad Avellino, uno a
Napoli - il tempo stimabile è di un paio d’anni. Facciamo in modo che siano
tempi rispettati. Siamo troppo abituati a vedere cattedrali che restano alle
fondamenta per non temere che i tempi diventino biblici. La seconda riguarda la
qualità. L’hospice deve rispondere a situazioni particolari, ci aspettiamo
qualcosa di veramente diverso da un ospedale o da una «casa di cura», ci
aspettiamo un luogo a misura d’uomo, studiato, anche architettonicamente, per
le esigenze di chi sta per vivere gli ultimi mesi della sua vita a confronto
con la malattia. Sono strutture che hanno un costo di mezzo miliardo per posto
letto, ogni lira deve tradursi effettivamente in accoglienza e umanità. La
terza, forse la più importante, è quella del personale. Senza un personale
qualificato l’hospice non servirà a nulla. E non si tratta di un personale
«qualsiasi». Bene, prima che gli hospice diventino operativi abbiamo due anni
di tempo per selezionare il personale e formarlo nel modo migliore possibile.
Non si aspetti l’ultimo momento. Chiediamo all’assessore di vigilare su queste
tre cose. Lo faremo anche noi. Perché anche in Campania sia rispettato il
diritto ad una morte serena.
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