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Gli interventi del Presidente sul quotidiano "Il Mattino" 


LUIGI CELESTRE ANGRISANI

L'articolo

5 ottobre 2001: Malati terminali: una svolta  

LA BUONA SANITÀ Malati terminali: una svolta
La Regione autorizza quattro strutture per accogliere chi non ha speranze

LUIGI CELESTRE ANGRISANI
Era stato duro, pochi mesi fa, l’allora ministro della Sanità Umberto Veronesi. «Il malato terminale - aveva detto - è considerato un ingombro: tenerlo in casa comporta difficoltà enormi, mentre l’ospedale lo considera una presenza scomoda perché vuol tener basse le cifre della mortalità». Parole amare, che suscitarono polemiche e contestazioni. Parole vere. Dietro le quali c’era la realtà di tutti quei malati terminali per i quali la Carta dei diritti del morente, diffusa in cinquanta paesi, era solo un’astrazione. «Il morente - si legge in quella carta - ha diritto di essere considerato persona sino alla morte, ha diritto a cure ed assistenze continue, ha diritto a non morire nell’isolamento e nella solitudine, ha diritto a morire in pace e dignità». Diritti negati. Non a persone qualsiasi, ma a persone che stanno per vivere gli ultimi mesi della loro vita. A volte senza famiglia, altre volte con famiglie che non sanno come affrontare situazioni di dolore terribile, di angoscia, di inadeguatezza. Perché non ci sono i luoghi dove questi diritti basilari possano tradursi in realtà. Si chiamano hospice. La legge italiana li prevede dal 1999. Negli Stati Uniti esistono dal 1974. Non sono luoghi della morte, sono al contrario luoghi dove la vita afferma il suo diritto di essere tale fino alla fine. Perché una persona che non ha speranza di guarire è comunque, o forse più di altre, una persona che ha diritto al massimo della serenità possibile. In Campania non esiste nessun hospice. Lo abbiamo detto e denunciato su questo giornale. Oggi possiamo dire, finalmente, che le cose stanno cambiando. La Regione Campania, in applicazione alla legge del 1999, ha approvato nei giorni scorsi una delibera che prevede per la prima volta la creazione di quattro strutture di questo tipo per un totale di quarantadue posti letto. E che sono, direte voi, quarantadue posti letto rispetto a tutti i malati terminali che nella nostra regione soffrono tra famiglie che non ce la fanno e ospedali che li rifiutano? Sono molto, sono il segnale di una svolta culturale, di mentalità, di attenzione. Per questo facciamo volentieri i complimenti all’assessore alla Sanità, Teresa Armato. Perché da queste colonne siamo sempre stati pronti a riconoscere e apprezzare quanto di positivo si riesce a fare. Lo facciamo però con qualche legittima preoccupazione. La prima è quella sui tempi. Per realizzare i quattro hospice - due a Salerno, uno ad Avellino, uno a Napoli - il tempo stimabile è di un paio d’anni. Facciamo in modo che siano tempi rispettati. Siamo troppo abituati a vedere cattedrali che restano alle fondamenta per non temere che i tempi diventino biblici. La seconda riguarda la qualità. L’hospice deve rispondere a situazioni particolari, ci aspettiamo qualcosa di veramente diverso da un ospedale o da una «casa di cura», ci aspettiamo un luogo a misura d’uomo, studiato, anche architettonicamente, per le esigenze di chi sta per vivere gli ultimi mesi della sua vita a confronto con la malattia. Sono strutture che hanno un costo di mezzo miliardo per posto letto, ogni lira deve tradursi effettivamente in accoglienza e umanità. La terza, forse la più importante, è quella del personale. Senza un personale qualificato l’hospice non servirà a nulla. E non si tratta di un personale «qualsiasi». Bene, prima che gli hospice diventino operativi abbiamo due anni di tempo per selezionare il personale e formarlo nel modo migliore possibile. Non si aspetti l’ultimo momento. Chiediamo all’assessore di vigilare su queste tre cose. Lo faremo anche noi. Perché anche in Campania sia rispettato il diritto ad una morte serena.

 

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