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Gli interventi del Presidente sul quotidiano "Il Mattino" 


LUIGI CELESTRE ANGRISANI

L'articolo

13 aprile 2001  
Lunedì il Ministro della Sanità, ha spedito un telegramma di poche righe. Pesanti. Talmente pesanti da far scomparire di colpo il centro trapianti del Secondo Ateneo di Napoli. O forse no, era già scomparso. Già, perché da quasi dieci anni non aveva effettuato neanche un trapianto. Insomma era già morto di suo. E allora, che ci stava a fare? Se l’è domandato anche il Ministro, e ha deciso di farla finita revocando l’autorizzazione. Eutanasia di un centro trapianti. E, come sempre, un minuto dopo è scattato il balletto delle polemiche, delle accuse, delle assegnazioni di responsabilità. Impressionanti le risposte al cronista del Mattino da parte del Rettore, destinatario del telegramma, e del Preside della facoltà di Medicina. Il rettore: “Non credo sia opportuno un commento a caldo del Rettore, può parlare con il Preside”. Il Preside: “E’ un argomento sul quale non sono preparato, può essere più chiaro di me il Rettore” . Sicuramente Rettore e Preside sono due eccellenti professionisti , ma questa sembra una scenetta della vecchia televisione di Tognazzi e Vianello. L’assessore alla Sanità Armato, altro destinatario del telegramma, dichiara: “Abbiamo migliaia di pazienti in lista di attesa per un trapianto di rene. L’Università avrebbe dovuto essere molto più attenta”. E aggiunge “La decisione del ministro è ineccepibile, tutti, me compresa, si aspettavano un impegno diverso dai docenti universitari”. Giusto? Forse. Il professor Di Salvo, responsabile trapianti del Nuovo Policlinico dice “ La colpa ricade necessariamente sulla regione che finora ha fatto poco per i trapianti”. L’assessore annuncia che partirà subito dopo Pasqua la nuova commissione regionale sui trapianti e che ha deciso “di scrivere al ministro per chiedergli di autorizzare un altro centro per il trapianto di rene”. Di Salvo, che non deve avere grande sintonia con l’assessore, non condivide: “Ho partecipato ad un paio di riunioni che non hanno portato a risultati concreti”. E ancora:“Si possono concedere anche mille nuove autorizzazioni, ma si devono incentivare le donazioni. In questi dieci mesi a livello politico si sono fatte niente più che chiacchiere per i trapianti”. Tutti d’accordo però su un punto, quello che riassume il segretario del Tribunale dei diritti del malato :“ Nel 2000 in Campania si sono effettuati 32 trapianti di rene, con una lista di attesa di oltre mille richieste non sono nulla”. E’ vero, in Campania per i trapianti siamo in coda a tutte le classifiche, a cominciare da quella delle donazioni: tre per un milione di abitanti. Forse qualche lettore particolarmente affezionato si ricorda che su queste pagine, tempo fa, definii scandalosa la proposta di una sorta di federalismo dei trapianti, secondo la quale almeno la metà degli organi donati deve essere destinata a cittadini della stessa regione del donatore. Confermo quello scandalo e l’inaccettabilità di quella proposta, ci mancherebbe altro. Però è davvero difficile difendere una regione dove un centro di trapianti viene chiuso per manifesta inattività e dove i donatori sono più rari delle zanzare al polo nord. C’è un problema di efficienza del sistema, e qui ci auguriamo che la commissione che si insedierà tra qualche giorno non si risolva in chiacchiere,. Ma c’è anche un problema di sensibilizzazione. Mi chiedo, se una campagna pubblicitaria può convincere milioni di cittadini a comprare una macchina invece di un’altra, un detersivo invece di un altro, possibile che non possa convincere anche noi campani ad essere più civili e attenti su un tema vitale come la donazione degli organi? Credo di sì. E credo anche che sia urgente. Come il telegramma di un Ministro. PER LA CITTA’ Dopodomani è Pasqua. Uova al cioccolato, sorprese più o meno deludenti, grandi mangiate in compagnia, gite fuori porta. Va tutto bene, per carità. Le feste devono essere un’occasione di gioia, di condivisione, di allegria. Ma c’è un piccolo però che vorrei mettere sul tavolo. Non so quanti miliardi spenderemo noi italiani per festeggiare la Pasqua, tra cibo, regali e viaggi. So che saranno tanti, e non c’è niente di male. Però proprio nei giorni scorsi l’ISTAT ha pubblicato dei dati che, come si dice, fanno pensare. Non sono dati che aiutano la digestione dei megapranzi festivi. In questo nostro paese, ricco e giocondo, ci sono la bellezza di duemilioni e 203 mila famiglie povere o molto povere. E quando diciamo povere non intendiamo dire che non possono pagare la scheda del telefonino o il maglione firmato o l’ultimo disco di Vasco Rossi. Intendiamo dire che fanno fatica – e non sempre ci riescono – a pagare l’affitto, le medicine, i vestiti. Addirittura per quasi mezzo milione di famiglie è un problema perfino sfamarsi. E se pensate che queste famiglie siano in prevalenza al Sud avete indovinato: sono il doppio che al Nord. E allora? dirà qualcuno, che c’entra con la Pasqua? Qualcosa c’entra. Sia chiaro, non sto dicendo che chi ha la fortuna di non appartenere a quei due milioni e 203 mila famiglie povere o molte povere debba mangiarsi l’agnello o aprire le uova con i sensi di colpa. Sarebbe retorico e anche un po’ ipocrita. Sto dicendo semplicemente che in questo paese ci scordiamo molto spesso dei problemi più importanti sul piano umano e sociale. Della povertà, di chi vive nel disagio, dei malati, degli anziani. Mi sarebbe piaciuto, per esempio, vedere questi temi al centro del confronto pre elettorale. E invece abbiamo dovuto accontentarci dello spettacolo piuttosto disgustoso delle candidature, con tutto il contorno di tradimenti, speculazioni, squallori di cui i giornali ci hanno fatto scoprire, probabilmente, solo una minima parte. Ecco, vorrei che almeno questi signori, che si apprestano a fare di tutto per chiederci il voto, tra un uovo e una colomba si ricordino di quei dati dell’Istat. Ammesso che li abbiano visti. Buona Pasqua.

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