La nuova assicurazione alle casalinghe non esaurisce il bisogno di tutela
La notizia è arrivata poco prima dell’otto marzo: il ministro del lavoro ha presentato alla stampa il decreto che istituisce il Fondo pensione per le casalinghe. Una bella novità. Ma la cosa più interessante è come funzionerà questo Fondo: le casalinghe accumuleranno contributi “facendo la spesa”. Che vuol dire? Acquistando determinati prodotti o in determinate catene commerciali la casalinga vedrà accantonata una certa percentuale a favore della sua pensione. Si è calcolato che di media ogni anno potrà accumulare così circa 600 mila lire di contributi. Senza spendere una lira. Se non è geniale poco ci manca. Complimenti al ministro e soprattutto complimenti a Federica Rossi Gasparrini, la vulcanica presidentessa della Federcasalinghe . E’ lei la vera “mamma” del Fondo pensione, della legge sull’assicurazione per gli infortuni domestici e di tanti altri provvedimenti a favore delle donne. Perché, diciamo la verità, in questi anni per le donne qualcosa è cambiato . Diciamolo pure sottovoce, magari con la scusa dell’otto marzo, però diciamolo. Parliamo di fatti precisi. Qualche esempio? L’assegno di maternità: tutte le donne senza tutela previdenziale oggi hanno diritto per la maternità ad un assegno di 2,5 milioni di lire, prima non avevano diritto a nulla. Il periodo di astensione dal lavoro per maternità oggi è diventato flessibile, ossia si può prendere anche per quattro mesi dopo il parto. In più il congedo è esteso al papà se la mamma non ha la possibilità di occuparsi del bambino (per malattia o altro). Sempre in termini di congedo oggi sia il papà che la mamma possono assentarsi dal lavoro per un totale di dieci mesi nei primi otto anni di vita del figlio, che diventano due anni e con una retribuzione di 70 milioni se il figlio è disabile. I soldi spesi per colf e baby sitter sono diventati deducibili, seppure in parte. Le famiglie con meno di tre milioni al mese e più di due figli hanno diritto ad un assegno di 200 mila lire al mese per tredici mesi. Le detrazioni per i figli sono salite sensibilmente (fino a 616 mila lire). E così via. Insomma la sua parte il governo l’ha fatta (e ne è talmente convinto che nei mesi scorsi ci ha fatto pure una campagna pubblicitaria, quella famosa con Lino Banfi). Tutto questo é sufficiente? No. Innanzitutto perché, come diceva una vecchia canzone, “si può dare di più”. In secondo luogo perché gran parte della “qualità della vita” delle donne ( e delle famiglie) dipende dai servizi. E i servizi sono forniti dagli enti locali. La domanda allora è questa: nel nostro territorio le donne , e le donne che hanno la responsabilità della famiglia, possono contare su servizi adeguati? A me pare di no. Di fronte a problemi sociali importanti, come il disagio scolastico o l’assistenza per gli anziani, la famiglia è ancora troppo sola. E dentro la famiglia chi se ne fa carico in maniera preponderante è sicuramente la donna. Un altro esempio: nel nostro territorio ci sono problemi di trasporto pubblico. E chi è che deve prendere l’automobile per accompagnare il figlio a scuola o dagli amici o in palestra? La mamma ovviamente. Non solo, le donne che lavorano aumentano, anche da noi. Ma da noi non c’è, come altrove, un sistema di orari degli uffici pubblici pensati in funzione delle esigenze della mamma di famiglia. Insomma siamo ancora indietro. E allora invece di lasciarci l’otto marzo alle spalle partiamo da qui: per esempio da una carta sui diritti delle donne e delle famiglie sul nostro territorio. Facciamolo. Perché, come diceva il vecchio Marx (che non è più di moda) “il progresso si misura dalla condizione sociale delle donne”. Su altre cose aveva torto, su questa no.
Luigi Celestre Angrisani, 9 marzo 2001
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