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L'articoloAnziani, emergenza in ospedale | Il direttore del S. Giovanni: "Lasciati qui dai parenti, senza di noi rischiano il suicidio"
di RAFFAELLA TROILI
Medicina I, ospedale San Giovanni: è il 4 luglio e dai letti spuntano solo teste grigie e bianche. L’emergerza-anziani è già cominciata. Le famiglie sono in vacanza e i nonni affollano le corsie. A volte malati, spesso solo parcheggiati. "Vengono lasciati dalle loro famiglie in ospedale - spiega Salvatore Passafaro, direttore sanitario dei presidi ospedalieri del complesso San Giovanni-Addolorata - e sfido chiunque poi a non trovare una qualche patologia in una persona di una certa età. L’emergenza estiva è già iniziata, la stessa che si verifica nel periodo delle feste natalizie e pasquali". Passafaro ricorda bene quell’anziano signore che ripeteva: "Voglio andare a casa" a un figlio che insisteva: "Ma stai qui che ti trattano proprio bene, papà". Era il 24 dicembre.
Ora è estate e i frequenti cambi di temperatura, l’umidità, l’afa, provocano malori in chi non è più giovane. "Le patologie si riacutizzano, ma una volta risolto il problema spesso non c’è nessun familiare pronto ad accogliere gli anziani. Succede che li rimandiamo a casa con la nostra ambulanza, dopo aver preso accordi con un vicino di casa, perchè non c’è nessuno ad aspettarli". Strano ma vero che l’allarme venga da un direttore sanitario, e che l’umanità di medici, infermieri e operatori tecnici, superi quella di un parente. "Non è corretto far rimanere le persone anziane qui più del necessario - continua il direttore sanitario - Ne va della loro salute psicofisica, l’ospedalizzazione li abbatte. Ma se non sappiamo dove collocarli non li buttiamo mica in mezzo alla strada. Anche se i letti ci servono".
Intanto al pronto soccorso del San Giovanni, ma anche negli altri ospedali è lo stesso, continuano ad arrivare vecchietti malandati. Fissano il soffitto sdraiati sulle barelle, fissano le pareti piegati su un lato. "Mi muoio di freddo", ripete tremando uno scricciolo di donna stesa sul letto del reparto di Medicina III. Non fa freddo, per la cronaca, e lei sembra una delle poche a stare veramente male. "Il 70 per cento dei ricoverati qui da noi - ora a parlare è un medico di Medicina I per l’urgenza - sono anziani. Soprattutto diabetici, cardiopatici, obesi (le donne), femori fratturati. L’estate vengono scaricati in ospedale, a volte arrivano soli con l’ambulanza. I parenti? Non ci sono proprio. E dopo tanti anni, penso che questa è un’abitudine che non cambierà mai".
Ma è un ospedale fortunato perché ci sono le suore e anche i volontari, dell’Arpas e dell’associazione S.Giovanni-Addolorata. "Vanno ringraziati - riprende Passafaro, in compagnia della dottoressa Luisa Attolini - senza di loro saremmo persi. Ci sarebbe bisogno di molti altri infermieri". Soprattutto signore di mezza età, che distribuiscono sorrisi e parole di conforto ma si rendono utili anche per dar da mangiare, vestire e portare al bagno i pazienti. "Fanno compagnia ai degenti e sopperiscono anche alle nostre carenze". Ma non basta. E quando la città è deserta, e le voci amiche non ci sono, lo sconforto è in agguato. "Mettiamo un’unità in più per controllare i più depressi, c’è il rischio che tentino il suicidio". Gli infermieri sono già al collasso, sono pochissimi e fanno turni massacranti. "I parenti non si vedono", dice sconsolata una giovane operatrice. "E invece queste persone anziane - aggiunge Fabrizio Sanchini, un operatore tecnico sanitario - hanno continuamente bisogno di assistenza, anche morale. Perché, come si dice, è meglio un sorriso di una medicina". I medici fanno sì con la testa, perché sì è vero che c’è l’orario di visita, "ma come si fa a vietare a un parente di assistere il proprio caro. Ci aiuta pure. Sono pazienti che hanno bisogno di una persona vicina".
Così sembra un fiore nel deserto quella donna appoggiata a una porta, che non ha l’aria di essere un’infermiera e nemmeno una volontaria. E’ la sorella di un malato di una certa età ricoverato dall’undici aprile scorso. "Non si tiene in piedi. Al di là del DRG, come si fa a non tenerli qui?". I tempi di attesa nelle strutture di riabilitazione sono lunghissimi. "Per mio fratello - spiega la donna - ho fatto quattro domande: alla Santa Lucia, a una clinica di Frascati, a un’altra di Roma e alla Nomentana Hospital. In quest’ultima è il primo in lista". E il dottor Passafaro aggiunge: "Le residenze sanitarie assistenziali sono pochissime e stracolme. Non accettano più pazienti, così dobbiamo mandarli fuori Roma e poi laggiù chi li va più a trovare...". Una carenza delle Asl su cui il S.Giovanni punta l’indice. "Anche i centri di assistenza domiciliare sono insufficienti", dice la Attolini. Per questo Passafaro rivela: "E’ ancora un’idea, ma abbiamo in mente di spostare sul malato uscito da qui l’equipe ospedaliera: potrebbe tenersi in contatto con il medico di base e continuare a seguire il paziente".
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