Sono ormai
una trentina
i bambini nati grazie all'aiuto della Comunità
Il ginecologo Leoni: in ospedale ho incontrato molti ostacoli
Quei genitori senza barriere
A Capodarco da trent'anni accanto alle madri disabili
Pino Ciociola
Frascati. Luigi ha quasi trent'anni e tre figli: sua mamma è
in carrozzella da sempre, poliomelitica, ed anche suo papà, distrofico. Nel
giugno del 1972 lo fece nascere Michelangelo Leone, ginecologo all'ospedale di
Frascati. E ai suoi genitori diede una gran mano la Comunità di Capodarco di
Roma: ai suoi come a quelli di un'altra trentina di bambini dalla madre (e
spesso anche dal padre) disabile. Una trentina di marmocchi nati, nessuno
escluso, sani come pesci.
«Luigi? Si, certo, poi, anche da grande, l'ho incontrato diverse volte». Lo
studio del dottor Leone è al centro di Frascati. «Gli handicappati davano
fastidio e facevano lavorare di più»: non gli fu facile tener duro in ospedale.
A un certo punto - una ventina d'anni fa o giù di lì - lo scontro col primario
divenne inevitabile: «Ma perché ti ostini a farle venire a partorire qui? A
Roma c'è un ospedale che ha un reparto specializzato per loro, indirizzale là».
Lui gli rispose secco e senza neppure pensarci su: «Non ho alcun problema a
farlo, basta che mi metta nero su bianco la richiesta di non ricoverarle».
Naturalmente quelle ragazze continuarono ad andare a partorire nell'ospedale
frascatano.
Ha pagato il suo prezzo, il ginecologo. «Nel 1978 - ricorda - i politici,
attraverso un collega, mi contattarono proponendomi un primariato subito, in
cambio della rinuncia all'obiezione di coscienza: se avessi cominciato a
praticare anch'io aborti, avrei fatto velocemente carriera. Rifiutai, spiegando
al collega che non era roba per me». Così il dottor Leoni è ancora oggi un
"aiuto". Alle pareti del suo studio, però, sono appese alcune
fotografie. Bambini.
Alla fine dello scorso giugno la Comunità di Capodarco gli ha fatto grande
festa. Quel pomeriggio lui è arrivato e, senza saperne nulla, ha trovato molte
di quelle "sue" mamme con i loro figli. Ha preso la parola Marisa
Galli, che in Comunità si occupa della faccenda: «Si, ho pianto a lungo, un
giorno, a una prima Comunione - ha detto - mentre il bambino sprizzava gioia
dagli occhi e dal sorriso, ricordando quando sua madre venne da noi con un
biglietto e le indicazioni su località, indirizzo e nomi, fornitele dal
servizio sociale per effettuare l'aborto».
Poi Marisa ha concluso. «Grazie a Dio, che ci ha rese protagoniste e artefici
con Lui nell'accogliere e valorizzare la vita nonostante impedimenti
considerati impressionanti e insormontabili dalla ragione umana». E «grazie a
lei, dottore, per le sue convinzioni di uomo e per le volte che ha fugato ombre
e timori che aleggiavano sulle nostre teste, accompagnandoci nel condurre
questi figli alla luce».
Non ha mai partorito, Marisa, ed è sulla sedia a rotelle da quando è nata.
Eppure è mamma di una ragazza schizofrenica che da ventitre anni vive con lei,
da quando ne aveva quindici e il reparto di neuropsichiatria infantile che la
seguiva non sapeva più dove metterla, la madre era morta in un ospedale
psichiatrico e il padre uno sbandato.
L'otto agosto 1970 a Capodarco si sposarono le prime tre coppie con handicap.
«Fu una grande scommessa di vita e di sentimenti prima di tutto», racconta don
Franco Monterubbianesi, che fondò la Comunità e guida tuttora quella
capitolina: «Queste donne, poi, hanno dimostrato di saper allevare i propri
figli come chiunque altra». Avendo al loro fianco i volontari, le volontarie e
i gruppi famiglia della Comunità.
«Penso a Milly e Memmo, entrambi miodistrofici - socchiude gli occhi
sorridendo, don Franco -. Sapevano che non potevano mettere al mondo figli, ma
hanno aiutato a crescere quelli degli altri creando un gruppo dove molte
giovani coppie si sono ritrovate. Il loro è stato, davvero, un matrimonio
bello».
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