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L'articolo

Giovanni e il «guaglione» che lo chiama nonno   

Napoletano, ha 89 anni e i suoi figli sono in Germania. Ogni giorno riceve il sostegno di un giovane «pony della solidarietà»

Giovanni e il «guaglione» che lo chiama nonno
«Aspetto la mia Filomena che mi viene a prendere»

Valeria Chianese

NAPOLI. Il palazzo è uguale agli altri che compongono il Rione Ascarelli, costruito per gli operai durante il fascismo e ora stretto tra i binari della ferrovia e il Centro Direzionale: dignitoso benché grigio e un po' cadente. Mimmo pigia il bottone del citofono, tre brevi colpi, e il portone si apre senza che il giovane si sia dovuto presentare. Segnale concordato? Mimmo sorride e fa cenno di sì con la testa: «In questo modo - spiega - Giovanni non fa fatica a reggere la cornetta». Giovanni è l'anziano di cui si occupa il ventenne Mimmo, uno dei pony che d'estate e anche d'inverno sono impegnati nell'assistenza ad anziani e disabili secondo una convenzione che unisce in una collaborazione sociale Comune e Associazioni di volontariato.
Mimmo apre la porta con le sue chiavi, ancora una volta per non affaticare Giovanni che seduto su di una comoda poltrona tra vecchi mobili ci accoglie con un sorriso tra le rughe. Giovanni ha ottantanove anni e, oltre a vari acciacchi, convive con una fastidiosa artrosi deformante che ne limita i movimenti e quando il tempo cambia o è umido si acuisce. Come accade in questi giorni di gran caldo che lo costringono tra il letto e la poltrona. Se fosse per lui andrebbe in giro e salterebbe come un grillo «ma - dice - a malatìa non me lo fa fare e per mezzo dei dolori m'aggia trascinà qua e là». Ma c'è Mimmo, che lui chiama "guaglione", ad aiutarlo.
Giovanni vive solo. I suoi due figli, un maschio e una femmina, e i nipoti, e anche una neonata pronipote, sono a Norimberga «perché là i figli miei hanno trovato lavoro tanti anni fa, ma mi sembra ieri che ho accompagnato prima uno e poi l'altra al treno che partiva per Monaco. Grazie a Dio hanno avuto fortuna e anche i miei nipoti hanno una buona posizione. Ma, come si dice, si sono fatti forestieri, sono più tedeschi che napoletani». A Napoli i figli sono ritornati solo due anni fa quando è morta la mamma Filomena. Telefonano spesso a Giovanni e gli mandano fotografie che lui tiene attaccate con le "punesse" a una parete della piccola stanza da pranzo. Giovanni le indica: «Sono belle, è 'o vero? Me le guardo e mi faccio mente di parlare con loro e così mi sento in compagnia». Intanto arriva Mimmo con la prima colazione, ma Giovanni gli mostra l'ultima fotografia giunta da Norimberga: una dolcissima biondissima piccolissima bambina. Mimmo sa cosa fare: con delicatezza aggiunge questa alle altre fotografie.
Mimmo si prende cura di Giovanni da giugno: sbriga le faccende di casa, fa la spesa, cucina, fa piccole commissioni. Tutto con amore, lo si vede da come guarda Giovanni, dai suoi gesti semplici e pacati e sicuri. «Non posso stare qui tutta la giornata perché devo studiare, sono al secondo anno di architettura - spiega - e comunque noi pony abbiamo dei turni, ma appena posso anche durante le mie ore libere vengo qui».
A Giovanni piace molto ascoltare Mimmo che legge ad alta voce il giornale. «Io ho fatto fino alla seconda elementare - dice con voce bassa e vivace - ma quando facevo lo scopatore, e l'aggio fatto per quarant'anni, se trovavo un giornale, pure vecchio, me lo portavo a casa e piano piano me lo leggevo e la mia Filomena mi stava a sentire. Lei non era andata alla scuola però capiva subito tutto. Adesso gli occhi non ne vogliono sapere delle lettere, Filomena non ci sta più e allora il guaglione il giornale me lo legge lui. È meglio della televisione».
La solitudine, Giovanni? Giovanni si stringe nelle magre spalle, gli occhi dietro le lenti si distolgono dal presente, le dita contorte dalla malattia si muovono come per mandare via qualcuno o qualcosa: «Aspetto la mia Filomena che mi viene a prendere. E mentre aspetto ci stanno le fotografie, i ricordi, la malattia e questo bravo guaglione qua - Giovanni sorride rivolto a Mimmo - che è un poco capatosta e mi chiama nonno».

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