| |
|
Dai quotidiani…
|
L'articoloPer i disabili un posto mirato | 25 aprile 2001
Funziona al Nord il nuovo collocamento obbligatorio
Ma le piccole imprese con meno di 35 dipendenti lamentano: per noi oneri troppo alti
Paolo Ferrario
Il collocamento dei lavoratori disabili non deve essere vissuto dalle imprese come una tassa da pagare, l'ennesimo balzello sulla strada della competitività. Almeno su un punto sono tutti d'accordo. Per il resto, a circa un anno dall'entrata in vigore della legge 68/99 che ha riformato il collocamento obbligatorio, i pareri sono assai diversi.
Attesa da molti anni da imprese e associazioni degli invalidi, per sbloccare una situazione di stallo dovuta al fallimento della vecchia legge 482/68 che si basava sul collocamento numerico, la nuova normativa ha contribuito a fare ordine nelle liste dei disabili, nelle quali si è tornati a mettere mano dopo decenni. Secondo i dati parziali forniti dalla Direzione generale per l'impiego del Ministero del Lavoro, in Italia i disabili riconosciuti tali dalla legge 68 sono 360.748. La Regione che ne conta il più alto numero è la Campania con 57.673, seguita dal Lazio con 44.036, dalla Sicilia con 39.031 (escluse le province di Enna, Catania e Palermo) e dalla Puglia con 36.236. In quinta posizione si trova la Calabria con 32.671 disabili (escluse Crotone e Vibo Valentia), mentre al sesto posto si piazza la Lombardia con 27.802 seguita dal Piemonte con 19.386. Fanalino di coda è la provincia autonoma di Bolzano con appena 590 disabili iscritti nelle liste del collocamento obbligatorio.
Per quanto riguarda gli inserimenti effettuati, gli unici dati disponibili sono quelli della Lombardia e si riferiscono al 2000. In testa alla classifica c'è la provincia di Milano con 1.410 collocamenti (1.329 nominativi, secondo il principio del collocamento mirato e 81 numerici), in seconda posizione si trova Brescia con 500 inserimenti, seguita al terzo posto da Bergamo con 350 avviamenti. Se però si analizzano i dati calcolando il rapporto tra disabili inseriti e operatori disponibili sul territorio (la figura chiave per accompagnare il disabile al lavoro), la graduatoria si ribalta e vede al primo posto la provincia di Lecco con 169 inserimenti a fronte di un operatore part time, tallonata da Como con 226 collocamenti e due operatori (uno a tempo pieno e un altro part time al 50 per cento) e da Brescia con 500 inserimenti e 4 operatori (uno a tempo pieno e tre a trenta ore settimanali). La provincia di Milano è soltanto quarta pur avendo a disposizione venti operatori effettivi e 18 collaboratori part time.
"Milano - spiega Carlo Stelluti, relatore Ds alla Camera della legge 68 - fa fatica a decollare perché manca di personale specializzato. Il collocamento mirato non deve e non può essere inteso alla stregua di un lavoro burocratico, ma ha necessità di operatori specializzati e motivati. Purtroppo, ad oggi non in tutte le province c'è questa situazione e Milano non fa certo eccezione. Il Comune, ad esempio, dovrebbe assumere 800 disabili ma non ha ancora fatto nulla. E questo vale in generale un po' per tutta la pubblica amministrazione, che sta opponendo forti resistenze all'applicazione della nuova legge. Ormai siamo al paradosso che le aziende, per il collocamento mirato, fanno da sé scavalcando la struttura pubblica ancora largamente impreparata".
Un bilancio in chiaroscuro è anche quello del sottosegretario al Lavoro, Raffaele Morese, che parla di un'applicazione della legge a macchia di leopardo: al nord, dove le province si sono attivate per tempo, è stato più agevole introdurre la nuova normativa; al sud, invece, la situazione è ancora piuttosto complicata e in non pochi casi manca ancora totalmente la legislazione regionale attuativa. "Per far funzionare al meglio la legge 68 - sottolinea Morese - sono almeno tre le cose da fare: costituire in tutti i territori i comitati tecnici che devono accompagnare al lavoro i disabili, creare i fondi regionali a sostegno delle imprese e usare correttamente le convenzioni che, in gran parte, sono ancora viste dalle imprese come uno strumento per ottenere ulteriori deroghe e dilazioni nell'applicazione".
Morese giudica complessivamente buona l'accoglienza ricevuta dalla legge da parte delle piccole e medie imprese fino a 35 dipendenti, chiamate per la prima volta ad osservare l'obbligo dell'assunzione dei disabili e definisce positiva l'esperienza dell'impiego delle cooperative sociali come "luogo di passaggio e formazione del disabile prima del collocamento in azienda". Il sottosegretario lega però il successo della nuova legge alle diverse condizioni dei mercati del lavoro locali. Dove, in sostanza, c'è vivacità e ci sono occasioni di lavoro la norma è già stata applicata, dove invece il dinamismo occupazionale è modesto viene frenato anche l'inserimento dei disabili.
In aperto contrasto con le affermazioni del vice-ministro, il responsabile delle relazioni industriali di Confapi, Paolo Ravagli, dice chiaramente che "le aziende sotto i 35 dipendenti non sono in grado in adempiere l'obbligo di assunzione dei disabili". "La soglia - aggiunge - andrebbe rialzata sopra i 35 così com'era prima. Parte del successo della piccola e media impresa, si basa su un alto livello di flessibilità interna che difficilmente si combina con le esigenze di questa categoria di lavoratori. Inoltre, pur non essendo ancora il quadro legislativo completamente definito, le sanzioni sono invece pienamente operative e particolarmente salate. In definitiva: le aziende non sanno bene cosa fare ma vengono punite se non lo fanno".
Dure critiche alla nuova legge arrivano dall'imprenditore padovano Davide Cervellin, responsabile dell'area handicap della federazione degli industriali del Veneto, disabile egli stesso. "Ci sono voluti trent'anni per avere una nuova legge - sottolinea - e adesso mancano i fondi per attuarla: quaranta miliardi di finanziamenti per il primo anno e 60 per il secondo sono troppo pochi per una riforma di tale portata". Secondo Cervellin, inoltre, non sono state messe in campo le iniziative necessarie alle esigenze dei disabili più gravi: "Per queste persone - spiega - sono previsti servizi di accompagnamento e integrazione lavorativa, che però molti territori ancora non hanno".
Flavio Cocanari, responsabile delle politiche per l'handicap della Cisl, parla invece di un impianto normativo ancora in fase di rodaggio e si sofferma anche sulla necessità di un'applicazione non rigida e burocratica della legge 68, "altrimenti non si farebbe molta strada rispetto alla vecchia e superata 482". "L'inserimento mirato - sottolinea - richiede ogni volta di inventarsi soluzioni originali; non può esistere uno schema rigido buono per tutte le situazioni. La vera scommessa che abbiamo davanti, è allora quella di attivare circuiti virtuosi attraverso il coinvolgimento degli attori sociali (organizzazioni, associazioni, gruppi), che più da vicino si occupano di queste problematiche. Superato l'ostacolo dell'omogeneizzazione del linguaggio, si potrebbero costruire reti territoriali di servizio sulle quali far convergere anche le risorse a disposizione. Bisogna quindi andare anche al di là della legge, senza pigrizie mentali e senza cadere nelle vecchie abitudini".
Su flessibilità e circuiti virtuosi da creare insiste anche Franco Marzocchi, presidente di Federsolidarietà, federazione che associa circa tremila cooperative sociali in tutta Italia e fa riferimento a Confcooperative. "Pur compiendo significativi passi in avanti anche sotto l'aspetto dell'approccio culturale e del riconoscimento del diritto al lavoro dei disabili - analizza Marzocchi - questa legge non supera ancora completamente la logica impositiva e fa si che per molte imprese l'assunzione dell'invalido non rientri ancora nella strategia complessiva delle risorse umane. Guardando al caso specifico delle cooperative sociali, l'articolo 12 della legge 68 dice che le aziende possono adempiere all'obbligo anche assumendo un disabile e collocandolo in cooperativa. Questo è sbagliato perché va contro il principio stesso di collocamento mirato. Secondo noi, invece, prima viene la formazione in cooperativa e soltanto dopo l'assunzione in azienda. L'assunzione preventiva è una forma di rigidità che non giova né al lavoratore, né all'impresa e né tantomeno alla cooperativa".
L'importanza della formazione è sottolineata anche da Giovanni Pagano, presidente nazionale degli invalidi civili dell'Anmic, che pur giudicando positivamente l'impianto della nuova legge osserva come troppo poco si stia ancora facendo sul versante formativo. Una lacuna che l'Anmic punta a colmare attraverso iniziative messe in campo dal proprio istituto per la formazione Isfordd sia in province del nord come Milano e Bologna, sia a Roma che al sud, a Cosenza. Una legge positiva anche secondo Pietro Mercandelli, presidente dell'Anmil, l'associazione degli invalidi del lavoro, che sollecita però le forze sociali, sindacati e associazioni in testa, a stimolare le istituzioni locali affinché la applichino correttamente.
|
|
Paolo Ferrario
|
|
| |