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Gli articoli sull'handicap e la solidarietà

 

L'articolo

Dare senso alla sofferenza, una sfida possibile   
Lettere al direttore

Caro Direttore
vorrei, pur nel più profondo rispetto delle opinioni diverse e discordanti dalla mia, esprimere il mio umile parere dopo aver letto l'intervista rilasciata da Luca Coscioni, presidente dei radicali, al vostro quotidiano. Sono anch'io affetta dalla sclerosi laterale amiotrofica dal 1991. Dopo la diagnosi non mi è stato prescritto alcun farmaco specifico, così in una manciata di mesi son giunta all'insufficienza respiratoria e al coma.
Ho scelto di vivere per sempre supportata dal respiratore meccanico, dall'alimentazione enterale totale, allettata perché totalmente paralizzata e muta. Mi è rimasto un flebile movimento del mento che sfrutto, attraverso un sensore, per azionare il computer che mi permette di comunicare, corrispondere e stendere relazioni.
Il corpo mi toglie ogni libertà rendendomi succube dell'aiuto degli altri, ma il mio spirito vola alto e si nutre dell'amore di marito, figli, amici che mi sono vicini. Non cerco consensi o affermazioni personali; a me basta sapermi ancora utile alla mia famiglia e ai tanti giovani che traggono forza dalla mia serenità. Non posso però negare che quando il Pontefice, persona dall'innegabile sofferta partecipazione a tutte le problematiche, dall'enorme coraggio, dall'eccezionale carisma, con un fil di voce mi ha detto di continuare a donarmi agli altri, mi sono sentita felice, esortata ad un'ulteriore fattività. Sostengo che ci voglia più coraggio per un povero guscio come me professare, testimoniare la propria fede, con il rischio di essere fraintesa , che per i sessantottini negarla in modo eclatante, come fecero.
Tale è il mio rispetto per la vita da ringraziare Dio per ogni attimo che mi viene donato anche nella sofferenza. Ritenendo che essa abbia inizio dall'incontro dello spermatozoo con la cellula uovo porto il massimo rispetto per l'embrione in quanto già persona. So che, nell'attesa di specifiche e chiare norme legislative, i progressi della ricerca medica sulle cellule staminali tendono, nel rispetto dell'embrione, nonostante si imbocchi una via disseminata di maggiori difficoltà, all'uso di cellule prelevate dal cordone ombelicale, dal midollo osseo di adulti eccetera, solo per citarne alcuni con semplicità, con grande rispetto per le speranze di tanti malati e per il principale obiettivo della ricerca che tende ad alleviare le sofferenze di ogni essere vivente.
Per la sua "volontà di potenza" l'uomo, inoltre, intende affermare il suo potere sulla morte o affrettandola per mezzo dell'eutanasia o posticipandola con l'accanimento terapeutico. Pio XII sosteneva il rispetto della qualità di vita e della dignità della persona in caso d'irreversibilita o di morte cerebrale: tacito consenso al consumarsi naturale della vita.
Personalmente ritengo che i medici non possono accettare né le proposte della medicina ideologica, e neppure quelle di legittimare la loro facoltà di dare ai pazienti una morte misericordiosa, tantomeno dare ascolto alla "stanchezza" di parenti e amici che devono confrontarsi con la sofferenza e la vacuità dell'esistenza, o, ancora più esecrabile, per i costi che i malati irreversibili comportano per la società. Per me l'eutanasia è sempre immorale. Il medico che rispetta il giuramento e l'etica ippocratica, secondo il mio punto di vista, è chiamato ad assistere un uomo che "soffre" e, spesso, che "muore" nel più alto rispetto della vita: ricordando che le caratteristiche della vita di ogni uomo, al di là delle età, della cultura, degli handicap e della situazione psico-fisica, lo pongono al vertice di ogni realtà.
Di fronte alla sofferenza e alla morte tutti dovremmo zittire: sono esse che c'insegnano ad apprezzare la vita.
Maria Pia Pavani
Cormòns (Gorizia)
Un uomo giovane, una madre di famiglia, la stessa diagnosi di una malattia che riduce alla paralisi. Maria Pia Pavani è immobile da anni nel suo letto di Cormòns. Col computer dialoga con quelli che le scrivono, a tutti dice che, anche nelle sue condizioni, vale la pena di vivere. Anche Luca Coscioni lotta strenuamente, ma per una battaglia di segno opposto: a favore dell'eutanasia, e della libertà di ricerca più completa, anche con cellule embrionali, nella speranza che ne venga un rimedio alle sofferenze di tanti come lui. Entrambi inchiodati al loro dolore, Coscioni e Pia Pavani danno a questo male due risposte agli antipodi. Il giovane presidente dei radicali ha detto ad "Avvenire": "La sofferenza, non ha alcun senso". La battaglia per l'eutanasia è la ragionevole conseguenza di questa affermazione, che, ammettiamolo, è ormai ampiamente condivisa. Soffrire non ha alcun senso, vivere si può, solo fintanto che si sia sani e autosufficie nti.
Dal suo letto invece la malata di Cormòns parla un linguaggio del tutto diverso, una lingua a cui non siamo più abituati. Quella sofferenza, accettata e offerta come dono agli altri, a quelli che le scrivono, e ad altri, sconosciuti, nell'economia misteriosa della Grazia. La sofferenza non ha senso, dice il giovane leader radicale, e conduce la battaglia per la morte dolce, giacché, se non c'è senso, l'unica cosa ragionevole nel dolore estremo è la morte. Costretta all'immobilità dalla sua stessa malattia, una donna cristiana invece dichiara che "ringrazia Dio per ogni attimo di sofferenza". Come certa che, in quel pozzo buio in cui è caduta, c'è un tesoro per sé e per altri. Affermazione paradossale, per molti incomprensibile e quasi scandalosa. E noi, da che parte stiamo? Crediamo davvero che ogni male, anche il peggiore, è per un bene più grande? Questo dialogo a distanza fra due malati merita che ci fermiamo - in re ligioso silenzio - a domandarcelo.

 

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